Nessuna bacchetta magica capace di risolvere i problemi o poteri speciali per superare ogni ostacolo. Non ci viene risparmiata tutta la fragilità della nostra condizione di viventi con un destino segnato. Non vediamo esauditi tutti i nostri desideri umani, non abbiamo più accesso a quel Giardino di felicità iniziale: il film degli eventi non si riavvolge.
Eppure sopportare senza disperarsi mai. Il buio non è assoluto, nell’universo la luce ha sempre la priorità. Morire per vivere. E soprattutto far vivere.
Il vero miracolo non è la guarigione, ma la forza di accettare la malattia. Talvolta una semplice modifica dell’ordine molecolare e tutto il nostro castello di certezze si rivela impotente. Ma, ancora e sempre, là in fondo la luce. Paradosso, scandalo e follia.
Croci, spesso pesanti, che rischiano di annientare anche le tempre più forti, come il fulmine che sradica l’abete pur avvezzo ai rigori degli inverni, ma laggiù una pianta è già pronta a spuntare.
“Lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera”.
Far spazio nel nostro cuore distratto alle tante croci che i fratelli sono costretti a portare, fratelli crocifissi, in attesa della luce, forse della vita.
Condividere il dolore degli altri, talvolta la loro condizione di schiavitù o il grido soffocato di chi non ha più voce, allevia la loro fatica e ridimensiona la nostra.
Praticare la distribuzione dei beni, vivere in sobrietà e gratuità può contribuire ad attenuare il dolore di tanti.
Coinvolgersi in prima persona, scrutare l’orizzonte per riconoscere fragilità vicine e lontane, asciugare lacrime dimenticando le proprie, scorgere l’immensità del dolore nascosto tra le pieghe della fatica del vivere: onde di miserie umane spesso difficili da arginare, in attesa di amore e luce.
Ma come si può misurare un amore?
“Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (Giovanni 13,15)