Carlo Mocellin a vent’anni dalla morte della moglie, per la quale è in corso il processo di beatificazione
«Volevo il miracolo. Volevo che Cristina rimanesse con noi e non potevo accettare che davvero lei “andasse avanti”. Volevo il miracolo e lo chiedevo continuamente a Dio, nella Messa, nei santuari dei mezza Europa… ma i disegni di Dio Padre erano diversi…».
Ritorna con la mente esattamente a vent’anni fa Carlo Mocellin, a sei mesi dall’evento che gli ha cambiato completamente la vita. Il terzogenito Riccardo era nato da alcune settimane, ma sua moglie, Mariacristina Cella stava velocemente percorrendo gli ultimi passi che la separavano dal paradiso. Sono giorni di gravi pensieri, di supplica quelli della Pasqua 1995, ma anche di sofferenza e di dolore. Nella casa di Carpané, frazione di San Nazario, in Valbrenta nel Vicentino, mentre Riccardo sorride nella sua culla, felice di essere al mondo da ben cinque mesi, e i fratelli Francesco e Lucia giocano sereni, senza poter capire fino in fondo la situazione, Carlo vede Cristina spegnersi giorno dopo giorno: «Era pensierosa in quei momenti, ma mai disperata. Lei viveva la sua normalità senza sprofondare nella sofferenza. Di certo perché aveva aderito completamente all’amore del Padre Eterno, anche senza comprenderlo fino in fondo», riflette Carlo.
Le settimane passano, le cure sul corpo di Cristina, indebolito dal tumore a un linfonodo all’inguine, si susseguono tra il centro oncologico di Milano e l’ospedale di Bassano del Grappa, dov’è evidente ai pazienti e al personale medico la “stoffa” di cui è fatta quella giovane mamma di 26 anni. «Quando il male si è ripresentato durante la gravidanza – racconta Carlo – quella di custodire la vita di Riccardo non è stata nemmeno una scelta, ma una conseguenza naturale dei fatti. Stabilire una cura che salvasse il piccolo e concedesse alla mamma di arrivare almeno al parto, per Cristina è stato naturale. Questo perché aveva incontrato Cristo e aveva fatto esperienza del suo amore. Così, le era chiaro che non siamo noi i padroni della vita, nemmeno della nostra».
Il 22 ottobre 1995 Mariacristina Cella nasce al cielo. Il distacco per Carlo, che continua la sua vita in riva al Brenta, è duro a tratti. «Nei giorni precedenti pensavo che crollasse tutto, non riuscivo a vedere una vita senza di lei. Ma appena Cristina è “andata avanti” ho provato una grande serenità. Ricordo che il giorno del funerale per qualcuno il mio stato d’animo era incredibile. E invece quella sensazione non mi ha mai abbandonato. È come se grazie a Cristina mi fossi risvegliato da una fede “della domenica” e da una vita che pretendevo di gestire in proprio per fare davvero esperienza dell’amore di Dio».
Da lì è iniziato un lungo cammino di incontri e di condivisione con i giovani, le famiglie e le comunità per cui il messaggio di amore di Cristina è diventato prezioso. In vent’anni si è anche completata la fase diocesana della causa di beatificazione, ora alla congregazione per le cause dei santi a Roma. «Ma la santità non è un fatto eroico, solo un fatto di amore», sottolinea con forza Carlo.
Le sue giornate di geometra iniziano presto il mattino, alle otto si timbra il cartellino, si stacca alle sette la sera, ma la vita è piena e scoppia di gioia. «Mariacristina è sempre con noi, siamo nati per vivere per sempre. In ogni passaggio della vita familiare la sua presenza si sente, così le incomprensioni sfumano subito, i grandi castelli in aria si sfaldano e procediamo sereni».
Nella foto: Carlo Mocellin durante un incontro-testimonianza sulla moglie Mariacristina