Ma siamo risorti solo spiritualmente? Quasi che Pasqua sia una specie di simbolo, il cui esito vitale non è ancora realmente vivibile, se non nel nostro spirito. È pur vero che il Regno di Dio non è ancora pienamente vivibile su questa terra, ma noi ne possediamo le “primizie”, come dice san Paolo. Che però spesso pensiamo possibili solo sul piano dello spirito. Anche in questi giorni, mi è capitato di sentire omelie sulla gioia pasquale e regolarmente ad essa si aggiunge sempre l’aggettivo “spirituale”.
Non ce la facciamo proprio a pensare che la salvezza di Cristo e la sua resurrezione possano già ora raggiungere anche la dimensione corporea! Ed è un vero peccato! In senso reale, non metaforico. È un peccato, uno dei più radicali. Il grande teologo M. D. Chenù, rispondendo ad una sua allieva diceva: “Ridurre la Pasqua alla sola dimensione spirituale è il più grande tradimento della croce di Cristo!” Perché è proprio ciò che è avvenuto nel suo corpo, cioè l’offerta di tutto sé stesso per amore, che ci ha salvati. Ed è proprio la materialità del suo corpo risorto a sconvolgere i discepoli e a cambiare la storia. Se quel corpo non si è davvero offerto, e se non è davvero risorto, vana è la nostra fede.
Allora se il nostro corpo non vive almeno la “primizia” dell’essere risorto, che fede è quella che abbiamo? Tutti gli atti concreti fatti per amore, che donano piacere e gioia, già ora sono già parte del mondo risorto, sono già la “primizia” del regno e restano fissasti per l’eternità in Dio. Dal servire chi ha bisogno al cucinare per chi amiamo.
Ma sembra che ci sia un ambito in cui ciò è ancora più “visibile”. Se il corpo di Cristo risorto partecipa della vita di amore infinito tra Padre, Figlio e Spirito Santo, allora, possiamo dire che due sposi che fanno l’amore vivono già qualcosa di molto profondo nei loro corpo donati, che nasce dalla resurrezione. Loro sono “l’Amore tra Amato e Amante” come dice Sant’Agostino. E Guglielmo di Saint-Thierry (monaco cistercense) afferma: “Nell’unione sessuale, che altro non è se non l’unità del padre e del figlio di Dio, l’abbraccio degli sposi, il loro stesso bacio, il loro stesso sesso, la loro stessa bontà e il loro stesso piacere, tutto questo è lo Spirito Santo. (…) Questo abisso (il rapporto sessuale) invoca un altro abisso; questa estasi sogna lontano l’ultima estasi; questo godimento aspira all’eterno godimento”. Ma Olivier Clement (teologo ortodosso) è anche più esplicito: “L’amore erotico è la forma storica più alta, per offrirsi all’Altro assoluto, a Dio. Per questo tra i due appare l’altro assoluto, il figlio, che apre la coppia alla triade, ad immagine di Dio trinità”.
Forse aveva ragione Benedetto XVI: “Oggi bisogna riconoscere che dobbiamo ritrovare di nuovo la strada che porta ad un atteggiamento propriamente cristiano, come quello che esisteva nel cristianesimo primitivo, e nei grandi momenti del cristianesimo: la gioia e il sì al corpo, il sì alla sessualità considerati come un dono, di cui fanno parte sempre anche la disciplina e la responsabilità”. Un dono pasquale.
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