Non ci sono solo i segni della Passione nelle nostre settimane, ma anche quelli del Risorto. Ecco allora di nuovo il nostro appuntamento del venerdì, che oggi diventa una Via Lucis per contemplare i segni della Pasqua. A firmare le meditazioni è Chiara Bertoglio.
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Ho scelto di proporre delle meditazioni sugli incontri dei discepoli con il Risorto non nell’ordine in cui sono presentati dalle Scritture (ordine peraltro difficile da definirsi), bensì associandoli alla scansione della Sequenza di Pasqua, il Victimae paschali (per ascoltarla, clicca qui). Si tratta di otto incontri con Cristo, otto come il numero che tradizionalmente raffigura la risurrezione. In questo modo, gli incontri con il Risorto sono inseriti nella liturgia della Chiesa, radunata dal Risorto e che, tramite la preghiera e la lode, è unita a Lui. Da musicista, ho inoltre adottato, come iconografia, delle miniature tratte da libri liturgici per il canto (spesso di Lorenzo Monaco), affinché la bellezza sia uno dei fili rossi della celebrazione del Risorto.
I. Paolo e il Cristo immolato
San Paolo considerava la propria esperienza di Cristo sulla via di Damasco come l’ultima delle apparizioni del Risorto. Cristo gli si presenta con il volto della Chiesa che Saulo perseguitava: l’Agnello pasquale, la “vittima immolata” della Sequenza, continua ad essere crocifisso nella sofferenza dell’uomo. Chiediamo risurrezione per i nostri fratelli cristiani perseguitati e uccisi a causa del Vangelo, in particolare per le vittime del massacro all’università di Garissa in Kenya, e la scoperta di Cristo per chi si accanisce contro di loro.
“E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo e cadendo a terra udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Rispose: «Chi sei, o Signore?». E la voce: «Io sono Gesù, che tu perseguiti! Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare»”. (Atti 9,3-6)
Quando la tua luce mi ha capovolto
Accecato e atterrato ho visto la vita
E il volto di “Io-Sono” scolpito nella carne
Dei poveri di Cristo.
Mi hai sedotto, mi sono
Lasciato sedurre.
Ti affidiamo, o Agnello immolato e “ritto in piedi” (cfr. Ap 5,6; 14,1), il grido dei nostri fratelli sofferenti, in Kenya, in Siria, in Iraq, in Somalia, in Cina, in tanti luoghi dove credere in te è rischio di martirio. Ti affidiamo anche la nostra fede debole e le nostre indifferenze e paure, perché tu ci aiuti ad annunciarti con franchezza, coraggio, coerenza e gioia.
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II. Pietro e il Cristo redentore
B. L’affidamento della Chiesa a Pietro da parte del Risorto avviene con un incontro personale, in cui Simone abbandona le proprie certezze (“Darò la mia vita per te”, cfr. Gv 13,37) e lascia che sia Cristo a scrutare nel suo cuore (“Tu sai tutto”). Chiediamo che tutte le persone che devono svolgere ruoli di governo, di educazione, pastorali e di accompagnamento li concepiscano come un servizio che nasce dall’amore e non come esercizio di potere. Questa settimana, il vescovo di Nola, Beniamino Depalma, ha trovato casa ad un senzatetto che era stato aggredito selvaggiamente da un “branco” di giovani della sua diocesi, assumendosi il carico di riparare al loro male col bene.
Gli disse per la terza volta: «Simone di Giovanni, mi ami?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi ami?, e gli disse: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecorelle». […] E detto questo aggiunse: «Seguimi». (Giovanni 21, 17-19)
Io ero Pietro, la roccia fra gli amici
spavaldo nell’uragano, generoso di cuore.
Una giovane portinaia
ha spogliato me di me stesso
e ti ho lasciato solo.
Solo tu puoi sapere
se ti amo veramente.
Ti affidiamo, Cristo Innocente che sei la riconciliazione nel tuo sangue, tutte le nostre debolezze, i nostri peccati e le nostre malvagità. Ti affidiamo il Papa, i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i catechisti; ma anche i genitori, gli insegnanti, gli amici, i nonni, gli zii, e tutti coloro che possono lasciare un segno nelle vite dei bambini, dei ragazzi, dei giovani, di quelli che sono in ricerca di te. Aiutaci ad aiutare, non per sentirci buoni o importanti, ma perché tu sai che, nelle nostre povertà, ti amiamo.
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III. I discepoli di Emmaus e il Signore della vita
Secondo alcuni esegeti, i “discepoli di Emmaus” cui Gesù stesso illustra la Scrittura che lo annuncia come “dux vitae”, il Signore della vita, potrebbero essere stati una coppia di sposi anziché due uomini come normalmente si immagina. Seguendo questa proposta, vogliamo concentrare la nostra attenzione sulle coppie e le famiglie, in cui si annidano santità e fragilità, debolezze e amore. Durante la Veglia pasquale, molti catecumeni hanno ricevuto il Battesimo: fra le storie di conversione narrate da Avvenire (5.4.2015, pp. 4-5) ve ne sono diverse in cui l’incontro con Cristo è nato e cresciuto all’interno dell’amore di coppia e della vita di famiglia. Così, una donna keniota battezzata da Papa Francesco ha affermato: “Mio marito mi ha insegnato cosa significa essere cattolico… Sento che Dio è sempre con noi e ci aiuta in qualsiasi momento”, e una catecumena di Albano ha testimoniato: “Chiamando me, Gesù ha chiamato in qualche modo tutta la mia famiglia”.
Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l’un l’altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane. (Luca 24, 29-35)
Va verso la notte la nostra strada,
alla polvere e ai sassi guardano
gli occhi bassi.
Ci pesa
la voglia di parlare
del pellegrino. Dalla terra
lentamente lo sguardo va
al pane fra le sue mani.
Ti affidiamo, o Signore della Vita che “eri morto ma ora vivi” (Ap 1,18), le famiglie che sono culle della vita, chiamate a collaborare con te nella procreazione, nel dono reciproco, nella testimonianza della tua risurrezione. Ti preghiamo per le famiglie in difficoltà economiche, per quelle in cui le relazioni, il rispetto o l’amore sono usurati e stanchi; per quelle che affrontano la malattia, la sofferenza o la morte di una persona cara; per quelle cui la Chiesa, famiglia dei credenti, deve trovare un modo di mostrare più efficacemente il proprio amore; per tutte le famiglie, icona nel mondo dell’amore trinitario e del tuo amore per la Chiesa.
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IV. Maria di Magdala e il Rabbunì
Maria di Magdala è icona della specificità femminile nella relazione con Cristo, che si costruisce sulla psicologia, intelligenza, corporeità e sensibilità peculiari ad ogni essere umano ed alla sua sessualità. La gioia di Maria nell’incontro con il Risorto è, in qualche modo, riflessa nella gioia di una donna milanese che, in questi giorni, ha trovato e salvato un neonato abbandonato per strada. Una donna, forse in gravi difficoltà, ha compiuto un gesto triste come quello di lasciare un figlio in questo modo; un’altra donna ha trovato questa vita appena sbocciata e ha provato una gioia tale da lasciarle “il batticuore” per un’intera giornata, come ha raccontato ai giornalisti.
Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: «Rabbunì!», che significa: Maestro! Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro». Maria di Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli: «Ho visto il Signore» e anche ciò che le aveva detto. (Giovanni 20, 15-18)
Accartocciata nel freddo
rannicchiata davanti alla tomba
il corpo compresso come neonato
avvinghiata a un barlume di calore.
Mi chiama.
Alzo il volto.
Ri-sorgo.
Ti affidiamo, o Signore incontrato da Maria di Magdala il mattino di Pasqua, tutte le donne: mamme, nonne, sorelle, spose, figlie, amiche; donne di cultura, donne nella politica, nell’insegnamento, nella solidarietà, nella salute, nella ricerca, nell’arte, nello sport… Le donne rispettate, realizzate, amate; le donne usate, mercificate, violate, quelle cui è impossibile utilizzare i loro talenti, quelle utilizzate in biechi commerci. Ti affidiamo le donne che tante povertà possono condurre ad abbandonare o cedere i loro figli, quelle che li accolgono con generosità e amore, e quelle che giungono a dare la loro vita per i loro bambini. Aiuta ogni donna ad amarti con l’integrità ed interezza del suo essere, e aiuta ogni uomo ad apprezzare, comprendere e valorizzare la “compagna che gli hai posto al fianco” (cf. Gn 2-3).
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V. Giovanni, Pietro e il sepolcro del Vivente
Chissà se il batticuore era più per la corsa o per un’emozione tanto forte da essere quasi intollerabile. Eppure, al momento di incontrare una realtà che poteva cambiargli la vita, in un senso o nell’altro, il giovane discepolo si trattiene dall’entrare, e attende che giunga al sepolcro anche Pietro. Non è solo una forma di rispetto per l’età o l’autorità, bensì anche l’instaurarsi di un’alleanza tra generazioni finalizzata a rafforzare la testimonianza: il giovane e l’adulto si fidano l’uno dell’altro, e saranno credibili se saranno insieme. Non sempre è facile dar fiducia ai giovani, a volte per l’egoismo dei meno giovani, a volte per la superficialità dei ragazzi; talora, però, messi alla prova, i giovani sanno sorprendere. Come un ventiseienne, barelliere in un ospedale di Reggio Emilia, che ha trovato e restituito un portafogli che conteneva una somma pari al suo stipendio, e che serviva ad una quarantacinquenne per pagare il funerale della nonna. Non è un gesto eroico, come non lo era l’attesa del giovane discepolo fuori dal sepolcro: ma è un segno di speranza, di risurrezione.
Uscì allora Simon Pietro insieme all’altro discepolo, e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro. […] Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. (Giovanni 20, 3-6,8)
Il discepolo che ami
e quello del “Mi ami?”,
due pescatori al galoppo,
mentre ancora dorme il mattino.
Ma perché sfiancarsi? Non scappa,
un sepolcro: nulla di più statico
e immobile.
Dentro, bende e teli
muti e inanimati:
ma vide e credette.
O Cristo, che sei la vita (Gv 14,6) e il Vivente (Ap 1,18), ti affidiamo le generazioni che si affacciano alla pienezza della vita. Ti affidiamo i ragazzi e i giovani, perché sappiano sognare in grande, essere nuovi, creativi, fantasiosi e coraggiosi; perché lasciamo loro spazio, fidandoci delle loro intuizioni e della loro capacità di vedere le cose in modo diverso da noi. Ti chiediamo di aiutarci a dar loro quella fiducia che, sola, può rendere un giovane degno di fiducia; aiutaci, a nostra volta, a meritare la loro fiducia, perché esperienza, rispetto e tradizione non siano parole da calpestare, ma possano costruire un’alleanza fra generazioni che renderà migliore il mondo dei nostri figli.
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VI. Le donne, gli angeli e una tomba vuota
Le donne trovano un sepolcro vuoto: al posto della morte che si attendono, trovano dei segni (“sudarium et vestes”) e dei testimoni (“angelicos testes”). La loro “paura” davanti al mistero si trasforma in “timore e gioia grande”, incanto e stupore. In questa settimana, in Italia per legge dovevano chiudere per sempre gli OPG, gli “ospedali psichiatrico-giudiziari” in cui erano internati i detenuti con problemi mentali e pericolosità sociale. Luoghi in cui, come in sepolcri, la società ha rinchiuso ciò che considera “marcio”. Anche se rimane difficile la soluzione di questa grave problematica sociale, vediamo nell’aprirsi di questi “sepolcri” una speranza per i fratelli e sorelle che vi erano detenuti, e che ci auguriamo possano trovare un aiuto per rinascere.
Ma l’angelo disse alle donne: «Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: È risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l’ho detto». Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annunzio ai suoi discepoli. (Matteo 25, 5,8)
Spaventa più un vuoto inatteso
che un atteso orrore, e tu
ci abbagli d’una luminosa assenza.
Chi ti cerca in un sepolcro
ha la morte nel cuore. Tu vieni
vita insperata
nei grembi sterili del nostro lutto.
O Cristo, annunciato da un angelo a Maria, da un angelo a Giuseppe, dagli angeli ai pastori, e ora alle donne che ti cercavano nel sepolcro, ti affidiamo tutti coloro che sono ancora reclusi nei sepolcri della vita: gli emarginati, i poveri, gli scomodi; i diversi, le persone ferite, che hanno sbagliato o che non hanno mai incontrato l’amore. Ti affidiamo anche i sepolcri del nostro cuore: le nostre paure, il nostro nasconderci davanti a te, il nostro preferire le tenebre alla luce (cfr. Gv 3,19). Vieni a liberarci, come hai liberato i prigionieri della morte, e sii tu la nostra vita.
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VII. I dodici, la speranza e il potere
Il Cristo risorto appare “a porte chiuse”, e dà appuntamento ai suoi nella Galilea del quotidiano: non nel Tempio di Gerusalemme, non in modo plateale. Egli promette agli apostoli di essere accanto a loro, presente nella Chiesa per sempre, in particolar modo nelle persone più piccole e deboli. Gli stessi apostoli che ricevono il mandato da Cristo sono quanto di più lontani dalla caricatura di una Chiesa come gerarchia del potere: sono poveri, deboli, spaventati, inermi: e Cristo sceglie e invia loro. Qualche giorno fa, ricevendo il Premio Templeton 2015, il fondatore dell’Arca, Jean Vanier, ha tenuto un discorso prezioso (qui in francese) su disabilità e potere: fra le tante cose che i disabili intellettivi possono insegnare ai “normali”, sostiene Vanier, vi è il valore della relazione come fatto di cuore, senza secondi fini nascosti, senza vedere l’altro come strumento per raggiungere potere, successo, ricchezza.
Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato. Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano. E Gesù, avvicinatosi, disse loro: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». (Matteo 28, 16-20)
Chiesa della tua presenza,
Chiesa del dubbio.
L’onnipotere nelle tue mani
sono le finestre aperte
dai chiodi. E noi dubitiamo.
E ti adoriamo prostrati.
E tu sei con noi in eterno.
Cristo, nostra Speranza, è su te che vogliamo appoggiare i nostri sogni. Ti chiediamo di donarci la serena certezza che “tu sei con noi fino alla fine del mondo”, e che tu hai su di noi un progetto di felicità. Tu ci chiami e ci scegli per grandi cose, ma lo fai dentro la nostra debolezza e povertà. Ci inviti ad amare anche i nostri limiti, come fai tu, per imparare ad amare gli altri con le loro fragilità e dentro di esse. Proclamandoti presente in mezzo a noi, nei nostri fratelli, ci inviti a vederne la dignità irrinunciabile, che mai può piegare l’uomo, Immagine di Dio, a strumento o mezzo del potere. Aiutaci a cercare la nostra realizzazione e la nostra felicità nella fede e nella speranza riposte in te e nel tuo amore, e nella valorizzazione rispettosa di ogni nostro fratello e sorella.
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VIII. Tommaso, le ferite e la fede
L’apostolo Tommaso è diventato (probabilmente suo malgrado) un’icona della fatica di credere: non meno significativa dei suoi dubbi, tuttavia, è la sua meravigliosa professione di fede in Cristo, Signore e Dio, nata dall’incontro con i segni della Passione sul corpo del Risorto. In uno splendido articolo, il Papa emerito Benedetto XVI sostiene che la mancanza di fede e la tendenza ad accusare Dio nascano più dal benessere che dalla sofferenza. Dal dolore vissuto personalmente, infatti, nasce spesso l’incontro più vero con Cristo. Ne è testimone anche Anthony Ray Hinton, liberato qualche giorno fa dopo trentott’anni trascorsi da innocente nel braccio della morte in USA. Uscito di prigione, Anthony è stato sommerso dagli abbracci e dalle preghiere di lode dei suoi cari, che ripetevano “Thank you, Lord”, mentre egli stesso ha voluto proclamare davanti ai giornalisti che “Dio esiste”: professioni di fede nate dall’oscurità più profonda.
Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!». Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!». (Giovanni 20, 26-29)
Non oso credere, sperare, desiderare
che sia vivo il Maestro. Non posso
schiantarmi, fulminato
dall’illusione. È per amore
che non vi credo, fratelli.
Guarda, Tommaso, e specchiati
nelle mie membra, squarciate eppure vive:
riconosci nella mia croce
anche la tua fatica. Io credo in te.
Cristo, re vittorioso, noi davvero sappiamo e crediamo che sei risorto dai morti. Noi crediamo, ma sempre ci portiamo nel cuore un’incredulità che solo tu puoi guarire: Credo, aiutami nella mia incredulità (cfr. Mc 9,24). Aiutaci a fare vera esperienza della gioia immensa della risurrezione, imparando a non evitare il contatto con i sentimenti, la vita, la fatica, la gioia e la sofferenza dei fratelli e delle sorelle. Impareremo a credere quando impareremo veramente l’amore e la speranza: toccando le tue piaghe impresse sul corpo e sull’anima degli uomini e delle donne potremo incontrare te risorto; e sfiorando, come Tommaso, i segni di fragilità e sofferenza del Re vittorioso, potremo proclamarti nostro Signore e nostro Dio.