L’espressione non sembra avere origine strettamente religiosa, o liturgica: si tratta infatti di un proverbio, ossia una breve frase codificata nella memoria collettiva, che enuncia una verità ricavata dall’esperienza concreta. Per questo si usa dire che i proverbi sono frutto della ‘saggezza popolare’.
Per quanto riguarda questo caso specifico, le ipotesi sulla sua origine sono diverse. La maggior parte di esse fa riferimento, appunto, ad esigenze molto concrete: in alcuni casi si richiama l’obbligo patriarcale di passare le festività importanti con le famiglie, che non avrebbero consentito, in particolare alle spose, di stare con le famiglie di origine; il proverbio costituirebbe una sorta di compromesso che stabilisce una superiorità gerarchica del Natale, da passare quindi nella famiglia di nuova appartenenza, ma che lascia la possibilità di scegliere con chi trascorrere la Pasqua. Altri ritengono che all’origine del detto ci sia un semplice motivo stagionale: Natale cade in inverno, quando è più confortevole restare in casa, mentre il tempo di Pasqua, con la primavera incipiente, invita ad uscire e a viaggiare.
Dato però che la religione aveva un ruolo centrale nello scandire la quotidianità delle generazioni passate, e considerando anche il significato dell’Imitazione di Cristo per la spiritualità dei nostri avi, possiamo inferire che all’origine di questo proverbio possa esserci anche un motivo ‘evangelico’: a Natale i Vangeli ci presentano Gesù nella casa in cui è nato, con i genitori; a Pasqua lo narrano pellegrino a Gerusalemme, dove celebra la Cena con gli amici (“Ho desiderato tanto mangiare questa Pasqua con voi” Lc 22,15), senza alcuna menzione della presenza di suoi familiari. Se lo ha fatto Gesù …