Assistente spirituale, “accompagna” i malati dell’ospedale di Arco.
Il gesto irripetibile della Veronica sul volto di Gesù, più volte immaginato dagli artisti di ogni tempo, è l’atteggiamento quotidiano per chi si trova ad accompagnare i malati terminali. Silvia Iseppi, da tre anni assistente spirituale all’ospedale di Arco, sulla riva trentina del lago di Garda, lo sintetizza così: . “Asciugare le lacrime è saper stare accanto all’altro, anche nei momenti più duri, anche quando piange, appunto. Quelle lacrime ci mettono in imbarazzo, ci spingerebbero a fuggire…invece è importante esserci, rimanere accanto. Anche senza parole, che possono essere inopportune, sbagliate”.
E’ l’empatia, che rispetta quello che l’altro ha voglia di dire o di fare, la capacità di guardarlo in faccia, di ascoltarne il dolore in silenzio. Anche se in lui si vede riflessa la nostra stessa fragilità: “Sì, quest’esperienza ogni volta ti ricorda che basta un soffio per tornare polvere, ti richiama al dovere di non sprecare il tempo, di valorizzare ogni momento della vita, ogni incontro”.
Madre di due figli ormai grandi, alcune accoglienze familiari alle spalle, Silvia s’impegna a curare ogni aspetto della relazione di aiuto: dal tono sommesso della voce al ritmo del respiro che si adatta al silenzio: “Nel dialogo con chi sta morendo è spesso possibile riprendere alcune perle preziose della sua vita, recuperando quanto ci aveva consegnato in incontri precedenti. Per lui diventa una rassicurazione che qualcuno ha raccolto quei pensieri”. Un percorso che coinvolge anche i familiari: “Vogliamo essere anche al loro fianco, per aiutarli a vivere giornate lunghe ed emotivamente intense, per aiutarli a ‘staccare’ anche dal pensiero della morte. La morte ci fa un po’ l’effetto del sole sugli occhi: non possiamo guardarlo continuamente, ci fa male, è un pensiero molto forte”.
Per i degenti del piccolo ospedale trentino, Silvia è un sorriso dolce e ormai noto, riconoscibile non solo per il crocifisso e la targhetta “assistente spirituale”, con il simbolo dell’Arcidiocesi e dell’Azienda sanitaria che prevedono questa figura in virtù di un protocollo d’intesa. L’ospedale piccolo, con stanze a uno o due letti, è condizione favorevole. “Riesco in una giornata a girare tutti i reparti – da chi fa la dialisi a chi viene al day hospital oncologico, dalla pneumologia alla medicina, dalla chirurgia alla riabilitazione motoria, dalla maternità alla psichiatria – e cerchiamo di andare ben oltre il portare la Comunione: propongo di leggere insieme un brano del Vangelo del giorno, lo trasformiamo in preghiera”.
E i non credenti spesso si aprono più facilmente con la figura dell’assistente laico che con religiosi o preti: “E’ un luogo in cui cercare le cose che ci uniscono, ma spesso alla fine del ricovero con loro nasce un’amicizia, un rapporto di stima. Vedi nell’altro – anche se è un testimone di Geova o mussulmano – un cercatore di Dio”. Anche questo è asciugare le lacrime dentro le corsie del dolore: far riscoprire e far rinascere la fede, messa a dura prova dalla fatica della malattia.