L’astinenza dalle carni (o da altro cibo secondo indicazione delle Conferenze Episcopali locali) è prescritta durante tutti i venerdì dell’anno a partire dai 14 anni, con particolare riguardo al tempo di Quaresima.
La dottrina e la pratica dell’astinenza e del digiuno sono presenti da sempre nella vita della Chiesa, ma assumono una fisionomia più definita con il diffondersi del monachesimo (IV sec.): nel movimento cenobita, p. es., si digiunava il mercoledì e il venerdì per tutto l’anno; negli altri giorni del tempo ordinario si consumavano due pasti da cui erano sempre escluse la carne, il vino e ogni altra vivanda che potesse eccitare la sensibilità; nei tempi forti i digiuni e le astinenze si intensificavano. Il senso di tali privazioni veniva ricondotto alla necessità di controllare le passioni: l’esperienza insegnava che cibi molto nutrienti e proteici, insieme al vino, favorivano l’emergere dei desideri carnali. In una visione platonica dell’uomo, che considerava l’anima come prigioniera del corpo, liberarsi dai piaceri carnali, dai legami familiari, dai desideri terreni era la strada per aderire a Cristo.
Oggi che senso ha astenersi dal mangiare la carne? Si tratta di un esercizio di essenzialità, nel quale si afferma l’umanità e non la pura istintualità delle nostre azioni. Per questo la pratica dell’astinenza non è legata strettamente all’oggetto della rinuncia, quanto alla sua sostanza: non avrebbe senso se, non mangiando la carne, ci si cibasse però di alimenti pregiati e costosi. E’ utile ricordare, tuttavia, che la semplice scelta di non mangiare carne il venerdì conserva un importante significato comunicativo: rispettare questa prescrizione durante i pasti consumati fuori casa, così come preparare cibi pensati per il tempo quaresimale, è un modo semplice per dire pubblicamente la propria appartenenza a Cristo.